Paris, danse, amour: intervista a Silvia Frangipane

Ascoltare Silvia Frangipane è come fare un tuffo in un luogo e in un tempo completamente diversi dal nostro: le sue canzoni nascondono un mondo ricco di emozioni, dalla nostalgia alla gioia alla delusione, ma anche una fitta rete di richiami e ispirazioni. Le sue canzoni ci portano in un mondo altro che, a livello visivo, immaginiamo molto simile alle vie di Parigi.

L’aggettivo giusto per definire Silvia Frangipane è “eclettica”. Cantautrice, ballerina, scrittrice e artist(ic)a a tutto tondo, l’abbiamo intervistata per l’uscita del suo ultimo album, Sans toi avec moi. Ma parlare con Silvia Frangipane vuol dire non parlare solo delle sue canzoni: nell’intervista ci rivela il suo immaginario artistico personale, fatto di letteratura classica, cantautrici francesi (e qualche cantautore italiano) e fumetto…

Cominciamo dalla scelta linguistica per le tue canzoni: tutti i testi sono in francese. Oltre alla sua naturale musicalità, quali sono le ragioni per scegliere il francese come lingua per il testo?

Quando avevo 14 anni vissi per un anno a Parigi. Quando arrivai non sapevo il francese. Fu davvero un trauma linguistico, ambientale ed emozionale in una età complessa. Avevo due possibilità: rifiutarlo e studiarne l’indispensabile oppure accettarlo e amarlo.  Ho scelto la seconda. Inoltre sono stata sempre una ragazza solitaria e grande lettrice fin da bambina. Così quell’anno mi buttai anima e corpo a studiare il francese e iniziai a leggere la grande letteratura francese dell’800 in lingua originale: Maupassant, Stendhal, Hugo, Dumas, Proust… Entrare attraverso la grande letteratura in un mondo linguistico ed emozionale nuovo in un’età che guarda alla vita con curiosità, un po’ di paura e tanta voglia di vivere, ha secondo me forgiato interiormente non solo la mia immaginazione, ma anche la mia espressività emotiva e la mia capacità emozionale che ora sono indissolubilmente legate alla lingua francese. E lì in Francia per la prima volta ho ascoltato anche dei dischi di Yves Montand, Édith Piaf, Charles Trenet… Li ho ascoltati, li ho vissuti, li ho capiti li ho canticchiati e non li ho più dimenticati. Quando iniziai a interpretare in diversi spettacoli canzoni in italiano, francese, inglese e spagnolo, mi accorsi che il francese era la lingua che meglio mi permetteva di esprimere le mie emozioni in musica. L’emozione si faceva suono docilmente attraverso la parola. Per questo motivo il francese è diventata la lingua privilegiata per esprimere i miei sentimenti e le mie emozioni in musica.

Entriamo nello specifico con il tuo ultimo album: Sans toi avec moi, “senza di te, con me”. Il tema portante dell’album è l’amore, sotto numerose forme e dipinto con innumerevoli sfumature, dal doloroso al gioioso al nostalgico. Tutte e sei le canzoni di Sans toi avec moi indagano questo sentimento: cosa ti ha ispirato a scrivere, cantare, parlare d’amore?

L’amore è una forza incredibile nella nostra vita. Ce ne rendiamo conto quasi sempre quando non c’è più. Con Sans toi avec moi ho voluto parlare dell’amore dopo l’amore, di tutti quei sentimenti che nascono e crescono dentro di noi dopo la fine di un grande amore che aveva rappresentato un modo di essere e non solo di vivere. Sono tutti brani che dipingono stati emotivi in una condizione di solitudine: dalla nostalgia del passato alla ricerca di un nuovo significato esistenziale, dal sogno di un incontro immaginario allo stato di vuoto e impotenza, fino alla comprensione della fatalità del destino e della necessità di vivere la vita e l’amore attimo per attimo prima che sia troppo tardi.  Sono i segni dell’amore dopo la fine di una relazione che ci ha nutrito e in parte forgiato e in fondo sono forme diverse di quello stesso amore: nostalgia, tristezza, gioia, rimpianto, sogno, dolore, illusione, ricerca, speranza. Non ci sarebbero se non fosse stato un grande amore. Hanno una loro importanza perché ti segnano e ti accompagnano nella vita. Ha senso quindi parlarne.  Dando alle emozioni e ai sentimenti un suono e una parola mi è sembrato di imbrigliarli e di poterli guardare da vicino con più coraggio.  Di riconoscerne l’invincibile forza e alla fine di riuscire ad accettarli.

Parliamo in particolare di un brano, Rien à faire. È il brano più dolente di tutto l’album, è il ricordo indelebile di un amore che non vuole andare via, ma con una punta di speranza alla fine. Ci parli un po’ del testo di questa canzone?

Hai ragione a chiedermi di questa canzone perché rappresenta l’album stesso. Non a caso Rien à faire (Nulla da fare) è l’ultima canzone che ho composto. Per questo è la più significativa in quanto racchiude il senso dell’album e del percorso di ricerca emozionale ed artistica che lo ha accompagnato. E anche mi ha fornito, con alcune parole del suo ritornello, il titolo ideale in quanto spiega bene il senso di vuoto che segue un grande amore: Sans toi avec moi, Senza te. Secondo me un grande amore che si costruisce con una persona è una cosa fondamentale nella vita per riuscire a sbocciare e per non avere paura di vivere. Per cercare di essere sé stessi senza avere paura di sé stessi. Ma quando finisce un vero grande amore ti senti persa e vuota. Il testo quindi parla del fatto che non c’è nulla da fare, nulla da fare, nulla da fare senza te… La presenza dentro di noi di quest’amore è indelebile e ne sei straziato perché ne senti la mancanza in tutto.  Ogni giorno ti scontri con la solitudine, il senso di vuoto, il confronto continuo con il passato, l’estraneità con gli altri, i goffi tentativi di compensazione affettiva, il pensiero di non saper riprogettare da sola la tua vita. Ma come dice il ritornello: nulla da fare senza te… Il mondo sembra essere definibile con o senza quella persona. Ma a un certo punto ti accorgi che così non può andare avanti. Quello che è successo deve per forza diventare uno stimolo per un nuovo percorso e la fine deve diventare un nuovo inizio. Quello che un grande amore ti ha dato resterà sempre, ed è quindi giusto che sia indelebile e che non ci sia nulla da fare nel senso che non sarà mai dimenticato. Infatti un vero grande amore non finisce mai. Si interrompe la relazione a due, ma quell’amore resta. E la vita va vissuta fino alla fine perché la vita stessa lo pretende da noi. Lo capiamo solo se la accettiamo in tutto, anche in ciò che non vorremmo accettare come la fine di una relazione importante. E da qui nasce la speranza di una nuova forza dentro di noi e di un nuovo progetto di vita.

Dal punto di vista musicale, invece, Rien à faire è caratterizzato da una melodia piena di passione e vitalità, grazie agli intensi giri di fisarmonica (di Primiano di Base, anche curatore degli arrangiamenti) e alla voce. Nel comporre una canzone, viene prima la musica o vengono prima le parole?

Nel mio caso i due aspetti vengono insieme. Diciamo che il “la” lo dà la musica perché mi metto al pianoforte quando una piccola melodia insiste nella mia mente. E a mano a mano che compongo la musica mentre la provo al pianoforte escono le parole. Per cui è un processo circolare più che sequenziale.  Perché non parto da un punto fermo o comunque più o meno definito in termini di musica o di parole. È come se la musica che compongo avesse dentro le parole che io devo svelare. E a man a mano che le svelo, loro si creano spazio nella musica stessa e lei le accontenta e va loro incontro. E piano piano diventa chiaro anche a me il messaggio emotivo e musicale che quel brano darà. Passo dal pianoforte al testo fino a quando tutto non ha un senso compiuto sia semantico che musicale che emozionale. Alla fine però se il testo da solo funziona, se la musica da sola funziona e se l’insieme funziona, allora sono davvero felice. Perché finalmente mi sembra che l’emozione si sia svelata come suono e come parola.

A proposito della parte melodica: i tuoi brani risuonano di smooth jazz e chanson (paragone forse ovvio, ma mi viene spontaneo pensare alla grande Edith Piaf…), con qualche tocco di world music. Se dovessi scegliere tre nomi che ti hanno influenzata in modo particolare, quali nomineresti?

Hai detto benissimo. Sicuramente Édith Piaf ha avuto un ruolo fondamentale  per la sua intensità vocale ed emotiva, per il suo stare  con la sua voce dentro quella parola e quella nota,  che è una cosa che cerco sempre nella composizione, il suono che si fa parola ed emozione.  Juliette Gréco per la sua morbidezza e semplicità. Il suo stile è sicuramente un punto di rifermento per me nell’interpretazione dei miei stessi brani perché mi indica l’essenziale e la forza nella semplicità.  E Paolo Conte per l’importanza che la musica ha sempre per ogni suo testo. Per la sua ampiezza e complessità musicale che ammiro. Nei brani di Paolo Conte è difficile scindere la musica dalle parole. Ed io sono costantemente alla ricerca di questo nelle mie composizioni.

La homepage del sito ufficiale di Silvia Frangipane

Non solo canzoni: la tua arte comprende anche danza, scrittura, spettacoli, moda (di cui troviamo esempi anche sul tuo sito ufficiale). Parlaci un po’ delle tue passioni a 360° gradi: ti senti legata in modo particolare a una di queste modalità di espressione, a parte la musica?

In realtà tutte le forme di arte che hai citato sono legate tra di loro.  Però se dovessi sceglierne una direi lo spettacolo perché le racchiude tutte al suo interno. Lo spettacolo è magia totalizzante e benefica. Da adolescente ho passato tutto il mio tempo libero a teatro e consideravo gli attori come degli scrittori per la loro capacità di portarti in un posto fantastico.  Quando faccio uno spettacolo, che costruisco con musica e parole, entro in un mondo diverso che è fatto di energia, di emozione, di parola, di suono dove però entra anche il pubblico. La mia energia, la mia emozione entra nel pubblico e loro partecipano con la loro. E chi va a sentire/vedere un spettacolo in realtà vuole partecipare a una magia ed entrare in un sogno.  Tutti sono partecipi dello stesso sogno e quindi vivono una dimensione diversa dalla realtà dove però ciascuno porta la propria realtà, anche se spesso non se ne rendono perfettamente conto. E questa vicinanza e interscambiabilità tra realtà e sogno che è magica nello spettacolo e che ho capito leggendo La vita è sogno di Calderón de la Barca.

Visto che abbiamo toccato forme di espressione altre rispetto alla musica: se dovessi descrivere le tue canzoni con un’immagine (o con una serie di immagini), come le dipingeresti?

Questa è una domanda interessante e svela anche il mio prossimo progetto legato all’album. Quando compongo sono sempre i miei sentimenti che mi guidano, ma a mano a mano che iniziano a prendere forma in musica e parole li osservo e li vivo come se vedessi un film. Da fuori. Quindi sono tutti ambientati da qualche parte in qualche luogo ben definito con dei personaggi che si svelano da soli. Questi luoghi e questi personaggi li dipingerei come dei fumetti perché il fumetto ha una valenza estetico emotiva universale in cui ciascuno riesce più facilmente a identificarsi rispetto alla pittura più tradizionale.  In questo modo quindi uscirà a brevissimo come video il primo dei fumetti musicali dell’album: Nuits d’amour, Notti d’amore ambientato a Roma, la mia città.

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